1992-2023 Trent’anni di Oratorio

1993-2023- Trent’anni. Come può un solo articolo racchiudere un tempo così lungo? Ma soprattutto, come distillarne l’idea, lo spirito, la spinta che ha mosso un’intera co­munità per tre decenni? Facciamo un tentativo tornando all’inizio di tutto, lasciando riaffiorare i ricordi di chi c’era, di chi ha mosso i primi passi, di chi si è lasciato trascinare in un’esperienza poi diventata pila­stro, tramandata -e chi se lo aspet­tava? – fino ad oggi. Tre testimo­nianze di quelli della “prima ora”. Perché ricordare è sempre esercizio complicato, ma nulla rimarrebbe in piedi senza quelle solide fondamen­ta gettate su un’idea, uno spirito, una spinta che ha mosso un’intera comunità per tre decenni.

Una nuova parola: Oratorio

Era il 1993 quando il nuovo Par­roco, don Dino Bressan, irrompe nella comunità con una nuova pa­rola: Oratorio. Vista la nostra totale inesperienza, prima di tutto sono iniziati gli incontri per capirne il vero significato, gli obiettivi, il senso progettuale. L’Oratorio non voleva essere solo un servizio estivo alle fa­miglie, ma l’uso di un tempo libe­ro che coinvolgesse tutti -bambini, giovani e adulti – in un’esperienza di vita comunitaria. Un luogo fisico, centrale dove sperimentare e vive­re i valori cristiani nella reciprocità, ognuno in base ai propri interessi e capacità. Ma anche un luogo di festa, di gioco, di preghiera, di ri­flessione, di educazione. Un tempo condiviso, un tempo strutturato. Però un tempo non fine a se stesso, ma come chiusura di un anno inte­ro di attività di catechesi, esperien­ze di servizio ed altre proposte che ognuno poteva vivere nella propria misura.

Nel 1994 poi nasce anche la Gio­vane Estate, rivolta ai giovani che la mattina animavano l’Oratorio e per tre sere a settimana trovavano un proprio spazio di condivisione, di preghiera di gioco e di riflessione. E poi l’Oratorio invernale, i servizi parrocchiali, le uscite, i recital, il pa­lio. Una spinta iniziale che si è tra­sformata in tanto, tanto altro.

Negli anni l’Oratorio è cresciuto: tanti bambini, giovani animatori e adulti si sono succeduti e ognuno ha lasciato qualcosa di suo. Credo che nel cuore di ognuno sia rima­sto l’affetto e la nostalgia per l’espe­rienza vissuta. Sono cambiati anche diversi sacerdoti ma l’Oratorio è ri­masto lì, strumento di pastorale gio­vanile capace di arrivare fino a qui, 30 anni dopo, sperando che quelle fondamenta, nella loro integrità di senso e metodo, possano ispirare ogni anno chi quel progetto lo vive

Una ricetta lunga trent’anni

Ingredienti. Un parroco nuovo appena arrivato. Una donna a cui piace lavorare con i ragazzi. Alcuni giovani con molto entusiasmo, mil­le idee e tanta voglia di divertirsi. Un gruppo di ragazzi e ragazze che

vogliono passare un’estate diversa. Versa tutto nei locali di una par­rocchia, aggiungi preghiere quanto basta, mescola con energia, sforna con qualsiasi meteo a disposizione. Questi sono gli ingredienti che han­no caratterizzato l’inizio di quell’av­ventura.

Entusiasmo, forza di volontà, la vo­glia di fare qualcosa di nuovo per la comunità ed anche quel pizzico di incoscienza che ogni tanto aiuta a fare per il gusto di sperimentare cose nuove. Se chiudo gli occhi e ripenso a quei giorni sento anco­ra queste cose. I primi incontri tra animatori al mattino, i primi bans, i laboratori, gli urli delle squadre, le risate, le prime lacrime. Abbiamo raccontato storie fantastiche, gio­cato come bambini, ci siamo spor­cati e fatti male, abbiamo coinvol­to persone impensabili, inventato cacce al tesoro, disegnato cartelloni, costruito stendardi, inventato nomi improbabili di squadre, consumato centinaia di pennarelli e tempere. Penso che solo chi era lì, trent’anni fa, possa capire fino in fondo quello che intendo.

Qualcuno dirà che siamo stati paz­zi, ma in fondo un po’ di pazzia c’è sempre stata. Penso di poter parlare a nome di tutti: quella fiamma è an­cora dentro di noi e forse basta una sola frase per farla vibrare ancora: “Quella maglietta gialla, a strisce bianche e blu…”

Qualcosa di diverso

Avevo 17 anni e davanti avevo un luglio di caldo e noia. Quindi accet­tare la proposta di fare l’animatri­ce in questo fantomatico oratorio è stato abbastanza scontato, anche perché l’idea che avevo, dato che Pradamano non aveva alcuna espe­rienza di queste cose, era legata a qualche tiro a calcio per maschi, chiacchierate a non finire per noi ragazze e un calcetto per condivi­dere qualcosa. E invece.

La prima proposta fu: vuoi fare l’a­nimatrice? Allora vai a fare la for­mazione.

Formazione? Cosa serve la forma­zione per fare un po’ di casino, per giocare insieme? Io poi venivo dal mondo degli scout quindi a che mi serviva la formazione? Ma questo ragionamento si è scontrato subito con una delle figure che per me sono indelebili: don Dino. Con simpatia ed entusiasmo è stato irremovibile: non si può giocare ad un nuovo gio­co se non conosci le regole e il cam­po in cui dovrai muoverti. Beh, di fronte all’idea della noia pradama­nese, cedetti senza altre discussioni. Va detto che aveva ragione lui. Ogni cosa all’interno dell’oratorio an­dava fatto con lo stile dell’oratorio. L’Oratorio era sempre e comunque un luogo di religiosità: il gioco, i momenti di aggregazione, l’estetica degli ambienti, la cura per gli altri e per le attività, tutto doveva avere una traiettoria, tendere all’idea di comunità cristiana nel senso più ampio e festoso del termine. E noi animatori eravamo motore e ruo­ta di questo meccanismo. Motore perché dovevamo essere d’esempio, ruota perché noi stessi vivevamo l’Oratorio che diventava anche per noi momento di crescita. Infatti una sensazione precisa che ho di quell’e­sperienza è di essere stata sempre accompagnata, di non essermi mai trovata sola, di aver sempre avuto al fianco la figura dell’adulto. E penso che questo sia fondamentale in un Oratorio: non è dei bambini è per i bambini; non è dei ragazzi, è per i ragazzi. In questo la figura degli adulti è fondamentale. Anche se la me diciassettenne non sarebbe asso­lutamente d’accordo.

Per questo non posso che ricorda­re il mitico don Dino: cappellaccio di paglia in testa, sempre il primo a buttarsi nei giochi, nelle gare, sem­pre il primo ad intonare canzoni e preghiere, sempre coinvolgente, sempre partecipe e mai protago­nista. Con gli occhi di adulta non posso che pensare alla fortuna che abbiamo avuto ad incontrare adulti veri.

E poi non ricordo più fatti precisi ma ricordo il divertimento, la spen­sieratezza, la condivisione, il fatto di esserci stata anche prima di andare a vedere gli esiti degli esami di ma­turità e la vittoria della mia squadra quell’anno. Scusate se è poco.

Gli animatori della prima ora