Viaggio di sola Andata

Quando si parte si sa quello che si lascia ma non quello che si trova. La bellezza sta proprio nel riuscire a farsi contagiare dallo sconosciuto. Ho conosciuto un’Albania bella, attraverso le vite e i racconti delle persone conosciute, un paese che lotta, spera, lavora, progetta, anche contro una maggioranza che sembra avere altri interessi ed obiettivi.

Si può fare del bene ovunque, essere sale e lievito. Questo è compito dei cristiani; essere sempre una minoranza, proponendo passi migliorativi in avanti per il bene di tutti, specialmente dei deboli, consapevoli di fare la nostra parte. Per il resto, ci pensa Lui.

Son partita perché credevo di essere pronta per vivere questo progetto di condivisione, anche “lottando” con le resistenze familiari e della comunità dove vivo. Iniziando questo progetto desideravo affidare veramente la mia vita alla volontà di Dio. Fino ad ora ho cercato di essere una buona cristiana, laboriosa, disponibile, curiosa di apprendere, in cammino. Ma poi ho letto tutto questo come un tentativo di riempire il mio ego, nell’illusione di accrescere la mia fede. Come appunto leggo nel Vangelo: “Se avessi fede quanto un granello di senape…”.

strada di Bathore quartiere periferia nord di Tirana

Quanto raccontava Padre Andrea sull’esperienza missionaria, mi sembrava andasse in questa direzione: lo Spirito di Dio e la sua Provvidenza, permettevano di realizzare degli obiettivi, umanamente, anche quando sembrava impossibile. Ho percepito questa consapevolezza in tutte le comunità che abbiamo visitate in Albania.

“I miracoli” si realizzano oltre i sogni di chi accetta l’incarico di mettersi in gioco, di chi inizia o ha iniziato un cammino di accoglienza, di servizio e di vicinanza. La maggior fatica che dobbiamo fare è proprio questa. Renderci conto che qualsiasi progetto noi decideremo di sostenere, promuovere, far partire, non ha bisogno solo della nostra perfetta programmazione ed organizzazione, ma della nostra capacità di lasciar parlare Dio attraverso esso.          

Il pannello dell’ingresso al Museo- Carcere- di Scutari – tradotto in italiano recita: “Terra nostra che sei aperta come un cratere gigante. Gola di una tomba che cercava con la rabbia di inghiottire tutti coloro che volevano salvarsi dal terribile inferno, dove non c’era nient’altro che il pianto e il crepitio dei denti…” tratto da Vivere per raccontare”  di Zef Plumi                                                         

scritta in albanese riportata la traduzione nell’articolo.

       Maria Grazia Picogna